lunedì 14 maggio 2007

Sima Belmar, danzatrice/giornalista americana ha intervistato alcuni danzatori.....

frammenti di questa intervista ad Alessia Scala saranno pubblicati a breve su un suo articolo..........

10 Aprile 2007


SIMA:perchè sei tornata in Italia dopo le tue esperienze nella comunità di danza all’estero?

ALESSIA:Il ritorno in Italia, a Napoli, non è stato premeditato. Forse storie personali in via di conclusione, cambiamenti, un ciclo di studi terminato, un po’ di pile da ricaricare. Le cose si sono succedute l’una all’altra; situazioni, contingenze, stati d’animo si sono alternati e contrastati per parecchio tempo. Da Londra a Napoli c’è un abisso di differenze. E non c’è in effetti un solo motivo in particolare. Il perché reale non l’ho mai capito e nemmeno potuto schematizzare ed enucleare. La permanenza a Londra ha significato una trasformazione radicale, una crescita umana, artistica, professionale, che eventualmente mi ha riportato ad un punto di partenza “originario”, come se un ciclo si fosse chiuso. Io sento di essere cresciuta a Londra e non a Napoli, cresciuta nel senso di sbocciare. Cresciuta anche in modo caotico, assorbendo come una spugna esperienze. Quando la spugna era pregna non potevo far altro che rilasciare il fluido delle cose acquisite e mescolarle alle mie perse radici. Prima di prendere impegni più vincolanti però e giungere ad un compromesso con me stessa e con la città(in inglese c’è un termine più gradevole: “committment”), sono schizzata via tante altre volte senza meta e destinazione. Ho persino viaggiato con un circo di strada in bicicletta, senza sapere dove questo mi portasse, purchè fuori da Napoli e dalla situazione di danza che, dopo il primo impatto piacevole ed eccitante (ricordo appunto l’esperienza con il collettivo Dock 11), dopo questa parentesi insomma, trovavo lo scenario alquanto deprimente, scoraggiante, decadente, a volte ostile.
La mia “affezione da esterofilia” mi ha arricchito anche se il mio senso di non appartenenza mi spaventava. Ad un certo punto ho realizzato profondamente che non volevo sentirmi né emigrata, né straniera nella mia città. Sentivo la necessità di ricrearmi dei punti di riferimento e un luogo rifugio, se non altro una base dove svuotare il sacco delle esperienze accumulate, accatastate dentro di me.
E’da circa un anno che comincio a sentirmi più radicata o per lo meno “radico il mio senso di non appartenenza”.
Ora la spinta a restare è il gran lavoro che sento di fare, il vedere materializzati i progetti, i quali rischiavano di restare inconclusi a causa dei continui spostamenti. Fuori c’è tutto e di meglio ma anche questa città può diventare un polo di attrazione. Quello che mi interessa è far crescere le cose, me stessa, crescere con le persone, condividere, in lingua madre (!), seppur con periodici sconfinamenti, le mie esperienze e idee. Resto di una cosa convinta che se non fossi stata fuori me ne sarei pentita e sono soddisfatta delle scelte che ho fatto e delle tappe che via via si delineano sul percorso, un percorso che sento continuamente in progress e senza punti di arrivo, a volte, nella sua apertura, senza via di scampo. Aver sperimentato altro, fuori di me e fuori dalle mie mura, mi ha riportato come una risacca sulla spiaggia da dove partii, forse ora naufraga nella mia terra.

SIMA:come vedi l'Italia per l'arte contemporanea in generale e la danza contemporanea specificamente, paragonata a dove lavoravi come danzatrice all' estero?


ALESSIA:I diversi tipi di esperienza che ho avuto all’estero come danzatrice e performer hanno provocato un’ esplosione di creatività che evidentemente era latente e soffocata. La differenza principale è che all’estero ci sono più opportunità, stimoli, sicuramente girano più soldi, una rete più consistente, più obiettivi esterni e quindi si è più proiettati verso fuori. C’è possibilità di intravedere un futuro e respiri……un senso di prospettiva che ti fa viaggiare in avanti e con velocità. C’è il gusto e il piacere di sentirsi dei professionisti in quello che hai scelto, una scelta che ti ripaga, il gusto di essere positivi, di guardare in alto. Non è che la fortuna arrivi tra capo e collo e io sento sempre di averle dovute costruire le cose sia lì che qui e altrove. Qui c’è quasi paura di puntare un po’ più su, forse perché un “più su” non c’è. Ci sono pochi spazi, ti senti sempre fuori luogo, tutti sgomitano per un buco, dai centri sociali alle strutture più organizzate dove devi pagare se usi lo spazio per le tue prove, anche se lì ci lavori. Tutti cercano di sopravvivere e tutti si danno un gran da fare anche perché se aspetti che arrivino le cose da fare esse non piomberanno mai dal nulla. Qui nessuno è più grande di un altro , o più ricco da offrirti lavoro, è tutto sempre una mediazione, un compromesso che genera un paludaio pesante. C’è la tendenza alle repressione anche autoindotta, eppure se vuoi proporre qualcosa è molto semplice a Napoli, poiché resta ancora una città molto anarchica, senza regole rigide. Anzi devi crearle da te le opportunità, cercarle, alimentarle, e sviluppi un’emancipazione artistica polisemantica, nel senso che ti ritrovi ad essere tante cose insieme ma questo sicuramente avverrebbe dovunque e comunque. La danza contemporanea all’estero abbraccia varie discipline, si contamina e si intreccia alle altre forme artistiche. Il movimento si evolve e si trasforma. In Italia siamo ancora legati al movimento vecchio stampo che non si sa più da dove viene , se dal teatro danza, dalla tecnica cunningham o dalla danza classica. Fuori, il movimento dei danzatori è diverso, sono tutti meno legati alla tecnica forse anche meno virtuosi. Il lavoro del danzatore è riconosciuto e apprezzato, ha un ruolo sociale, anche perchè sostenuto dalle università e da tante istituzioni che supportano le arti. Credo che la danza, riconosciuta come disciplina di studio nelle scuole e università, e quindi nella sua valenza educativa, sia fondamentale per la sua stessa evoluzione e per la sua dimensione artistica.

In Italia in generale respiriamo un clima culturale e politico stagnante, becero, tra l’altro tendente a conservare più che a creare nuove forme e possibilità, che non dà spazio e incentivi ai giovani. La cura e il rispetto per l’arte e la danza, in particolare, sono sfumati. Qui le grandi strutture assomigliano a delle piovre che vogliono inglobarti, più che a offrirti delle concrete opportunità di lavoro e di crescita.
Eppure qualcosa si muove a Napoli. Se tutti cercano di muoversi in una direzione positiva meno centripeta, più proiettata verso l’operare, senza fini meschini, è meglio. Io ci provo; certo a volte preferirei assaporare la placida sensazione di essere mossa da “fuori”, di navigare in un mare di opportunità e di energia in riciclo e ricambio. Ma questo avverrà…..prima o poi………..il movimento cambierà verso e forma….forse nelle generazioni successive.

Nessun commento: